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Psicologia: Revenge porn… e l’anima si frantuma in un milione di piccoli pezzi.

11 Gennaio 2021 by AA.VV. - .

= Rubrica a cura del servizio URGENZA PSICOLOGICA =

In Italia, secondo la Polizia delle Comunicazioni, si verificano due episodi di revenge porn al giorno. Quando trattasi di adolescenti la questione e’ delicata, e un fenomeno sociale così preoccupante investe in modo importante anche le fasce più giovani.

Foto/video dal sapore erotico in pose tendenzialmente sexy, con corpi più o meno nudi, materiale figlio di momenti intimi, “buttato” in rete senza consenso, attimi di condivisione senza veli oltraggiati, abbruttiti dalla loro diffusione illegittima. La diffusione non consensuale, sia on-line che off-line, di immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati, è reato dal 17 luglio 2019: il tentativo di creare nocumento viene oggi punito, la volontà di offendere accrescendo il discredito sociale viene finalmente placcata.  

Ma l’anima, che in seguito ad un gesto di revenge porn riceve ingiurie, minacce, stalking, e che soprattutto sente la fiducia profondamente minata, si inginocchia. Vi è una regola implicita e tacita che governa la relazione: tutto ciò che è fatto nell’intimità, ancorché consapevolmente, deve rimanere riservato salvo prova contraria.

In Italia, secondo la Polizia delle Comunicazioni, si verificano due episodi di revenge porn al giorno; nel novembre 2020 sono 1083 le indagini in corso. Secondo uno studio del 2018 ad opera dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, il 6% dei giovani fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente le proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica, con una prevalenza (2 su 3) di ragazze, percentuale che sale al 19% tra i 14 e i 19 anni. 

Quando trattasi di adolescenti la questione e’ delicata. La scuola si sente chiamata in prima linea se un fenomeno sociale così preoccupante investe in modo importante anche le fasce più giovani. Da una parte si stanno moltiplicando i progetti di educazione alla legalità che hanno lo scopo di informare le ragazze e i ragazzi sui loro diritti e, soprattutto, sugli aspetti legali che certi atteggiamenti comportano; non dimentichiamo che la diffusione di immagini che ritraggono minori, al di là della nudità o di eventuali atteggiamenti sensuali, è regolamentata da normative specifiche molto severe.

Ma la tutela può essere solo quella di non farsi riprendere, fotografare, di non inviare materiale sessualmente esplicito? Se è indubbiamente la soluzione apparentemente più immediata ed efficace, la prevenzione deve essere di ben più ampio respiro.  

La pubertà è naturalmente l’età in cui ragazze e ragazzi scoprono il loro corpo svelandone altresì l’intrinseco potere di seduzione, un potere che bisogna imparare a gestire senza che gli adulti avvelenino questo passaggio decisamente delicato istillando sfiducia o paura di quel potere stesso. Scoraggiarli da tale esplorazione al fine di tutelarne la sicurezza è una battaglia che rischia di essere persa in partenza ed è naturale che i cosiddetti nativi digitali compiano questa esplorazione anche attraverso i nuovi strumenti che noi adulti abbiamo messo nelle loro mani. L’affermazione della propria sessualità, del proprio potere maschile/femminile ancestrale, è ciò che connota il passaggio dall’età infantile all’età adulta e, in assenza dei rituali di passaggio così cari ad altre culture (molte delle quali ormai estinte), i giovani organizzano il proprio ingresso nel mondo adulto con i mezzi che trovano a loro disposizione.

Sta agli adulti, agli educatori, fornire i confini di sicurezza a tali rituali ed esplorazioni. Giovani esseri umani che si apprestano a divenire gli adulti e le adulte della nostra società hanno bisogno del loro aiuto. Chiedersi come supportare quante e quanti hanno ceduto alla tentazione di amplificare il potere della propria sessualità attraverso internet, inviando immagini al partner in un gioco di reciproco avvicinamento, non può fermarsi al solo rimprovero. Il  rischio è quello di trasformare l’eventuale vittima in colpevole, mentre il risultato a cui tendere deve essere quello di non comprometterne per sempre la capacità di fiducia verso il prossimo. 

Implementare intelligenza emotiva, empatia, sensibilità, rispetto, può significare offrire agli adolescenti momenti di riflessione guidata, invitandoli a mettersi nei panni di chi ha agito o subito determinati comportamenti (tecniche come il role playing o il teatro dell’oppresso risultano particolarmente idonee), aprendo ad un’esplorazione delle emozioni proprie ed altrui che mira ad  avviare un processo di riconoscimento del sentire. Lo scambio, la condivisione di pensieri, emozioni ed esperienze ampliano l’orizzonte personale.   

Il revenge porn rimane un gesto innanzitutto violento. Nella violazione di un’intimità precedentemente condivisa vi è il tentativo di un atto di forza, di potere, una volontà di supremazia che utilizza il sopruso per ledere coscientemente non solo e non tanto la privacy, ma soprattutto l’anima, come se quel materiale diventasse improvvisamente fonte di inadeguata oscenità, espressione di un comportamento privo di dignità di cui vergognarsi e per tanto passibile di svergogna e colpa. 

E la società effettivamente oggi tende ad additare: “Se l’è cercata…si è fatta fotografare!”, accusa carica di un maschilismo introiettato nei secoli, che svela quanto non sia necessario essere maschi per essere maschilisti. 

Oggi lo strumento del diritto tutela il sopruso a danno della “vittima”. Tuttavia, è ben più auspicabile incidere a livello culturale: no ai ruoli standardizzati che bloccano la possibilità di creatività ed espressione di sé, no al sessismo che vuole il maschio virile e la donna sessualmente virtuosa, sì alla pretesa di un rispetto che vede la luce in primis all’interno dei rapporti quotidiani, in seno alla famiglia, nei luoghi del potere dove più che mai un linguaggio aggressivo diventa modello imitato dai più, legittimandone la violenza verbale. 

E’ un errore considerare ogni gesto violento espressione di un raptus momentaneo, perché se ne depotenzia la portata. La violenza presenta spesso  un’escalation. Prima della violenza fisica esiste un insieme di sottili violenze psicologiche che minano l’autostima e demoliscono la dignità. Trattasi di gesti che denunciano la volontà di controllo sull’accesso alle risorse economiche, per esempio, che impongono e obbligano ad un rapporto sessuale, che mirano alla derisione in pubblico, che escludono la donna dalle decisioni; tutti comportamenti sentinella, che evidenziano l’assenza di un’educazione sentimentale.

Abbiamo, allora, bisogno di una nuova educazione, che stemperi quella cultura misogina che invita a ruoli e compiti di prerogativa esclusivamente maschile o femminile. Il fallocentrismo va combattuto con la cultura della parità e le donne devono coltivare il coraggio di scendere in campo dimostrandosi più domandanti. 

Fare prevenzione significa, allora, portare avanti battaglie che mirano a abbattere il dislivello di potere che ancora oggi le donne che occupano posti dirigenziali respirano, obbligate involontariamente ad inserirsi all’interno di una cornice di matrice maschile. 

L’oggettificazione e la mercificazione del corpo femminile vogliono soprattutto un cambio di atteggiamento da parte dei maschi ma anche da parte delle femmine, troppo spesso le prime ad essere intrise di maschilismo quando trattasi di questioni che toccano la sfera sessuale. 

Tendere ad una prevenzione che fa della sfiducia nell’altro il suo unico cavallo di battaglia (“non ti fidare, non ti fidare mai!”) rischia di creare adulti disillusi. La relazione di coppia è connessa alla fiducia, vero motore della possibilità che essa prenda vita. Se una relazione fosse priva di rischio sarebbe un puro calcolo economico, un do ut des, un win win, chiusura in una monade che aspira alla eterna indipendenza, ma questo non darebbe possibilità alcuna alla relazione di sbocciare. 

Non ha, dunque, più valore coltivare la cultura del riconoscimento reciproco, fatto di una consapevolezza del proprio e altrui valore, quel valore intrinseco al proprio ed altrui essere?  

Il Revenge porn attesta un fallimento educativo, dove ciò che sembra mancare è quella educazione sentimentale capace di dare un nome alle emozioni, strada maestra per elaborare, ma prima ancora per cogliere, il disagio, perché se non si riesce a tradurre le emozioni in parola si scivola più facilmente nel gesto violento.

Ed allora educare alle differenze, o forse ancor più all’unicità insita in ogni essere umano, quale via che prelude la possibilità di vedere nel corpo femminile con tanto un oggetto, ma un essere dalla autonomia e dignità inviolabili. 

L’esaltazione della virilità, quale forma di potere che risponde alla volontà di destabilizzazione della autonomia della femmina al fine di affermare la propria esistenza, va accolta come espressione di una fragilità che richiede contenimento. La cultura della parità obbliga a coltivare nei giovani la percezione che si può essere potenti perché interiormente solidi, non perché padroni e tanto meno perché detentori della norma. 

Coltivare la grammatica delle relazioni diviene un obbligo, e trattasi non solo di quella grammatica che regola il rapporto tra uomini e donne, ma anche tra esseri umani dello stesso sesso, perché l’amore, in tutte le sue declinazioni, va preservato, quale espressione di vita che accarezza la vita, rendendola possibile. 

Luisa Ghianda, psicologa e counselor, Urgenza psicologica Monza.
[Ringrazio per il contributo alla stesura di questo articolo Miranda Zagone, insegnante (illuminata), collega (stimata), amica (preziosa)]. 

Archiviato in:Anno VII - n.70 / Gennaio 2021, Sociologia Psicologia Pedagogia Antropologia Contrassegnato con: Psicologia, Revenge Porn

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