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Viaggio in Terra Santa. Appunti di viaggio di Paolo Rausa. II Parte: da Gerusalemme a Giaffa, Tel Aviv

27 Marzo 2019 by Paolo Rausa -

La Porta di Giaffa, Bab el-Khalil/Jaffa Gate, si offre a noi in tutta la sua imponenza muraria. La Porta conduce ad ovest, al mare, verso Jaffa, accanto a cui gli Israeliani scelsero di edificare la nuova capitale, moderna. Se a Gerusalemme si prega e ad Haifa si lavora, a Tel Aviv ci si diverte: questo il detto, frutto della sapienza popolare.
Accanto alla porta di Jaffa si estende il quartiere armeno, uno dei quattro in cui è suddivisa la città, oltre a quello ebraico subito a ridosso  ad ovest. Da qui si passa, procedendo in senso antiorario, a quello islamico e poi al cristiano. Ognuno di questi conserva le tracce di monumenti religiosi e civili tipici della cultura che li ha concepiti e realizzati. Le lingue ufficiali che compaiono anche sui segnali stradali sono tre: l’ebraico, l’arabo e l’inglese. Ovviamente tutti parlano inglese, persino i vecchi custodi dei parcheggi che consentono la sosta in un territorio invaso e affollato dalle auto. A destra delle mura una struttura massiccia. E’ la torre di David.

Il mercato delle spezie, Gerusalemme

Il primo Palazzo che ci troviamo ad osservare a ridosso delle mura a sinistra dell’ingresso, dopo aver superato la Porta, è la sede del Patriarcato d’Oriente, greco-ortodosso. Avanzando oltre si intravede un vicolo, zeppo di persone e merci esposte. E’ il suq, il mercato che si stende per tutta la città vecchia. Ci inoltriamo lungo la stradina che come il vecchio decumano attraversa per il lungo l’abitato. Da una parte e dall’altra negozi di ogni tipo, mercanzie di cibo, vestiario, oggettistica varia e, immancabili, dei piccoli ristori con succhi di melograno per interrompere la furia delle persone che in un via vai continuo e irrefrenabile percorrono nei due sensi lo stretto spazio rimanente. Il percorso non è in piano, di tanto in tanto  i gradini rompono il dislivello accanto a delle minute discese in muratura per facilitare il passaggio e far scorrere i carretti. Procediamo con difficoltà tra la folla, chiediamo più volte per la Porta dei Leoni o per quella di Damasco, congiunte dalla Via Dolorosa, scritta così, in italiano.

La Via Dolorosa, Processione Santa, Gerusalemme

Nel partecipare alla processione del Venerdì Santo, alla Passione di Cristo, tante volte seguita nei film o letta nei Vangeli o ascoltata nel corso delle omelie del sacerdote, vengono in mente tutt’e dodici le poste o stazioni, il dolore dell’ultimo percorso terreno di Cristo, tra il dileggio della folla, il sangue che colava dalla testa conficcata di spine del rosario intrecciato a corona, sottoposto al peso insopportabile della croce su cui sarebbe stato crocifisso. Noi fra il pubblico, fra i passanti non per dileggiare il redentore ma per compiangerlo. Vediamo uscire dal piano alto di un edificio sacro una schiera di monaci che salmodiano, seguiti in fretta e disordinatamente dalle suore e dai fedeli. Capiamo che è la processione. Ci accodiamo. Tratti brevi e poi le soste, dodici. Ad ognuna una preghiera e la lettura delle Sacre Scritture. I patimenti di un Dio che volle farsi Uomo. Procede a rilento, il peso atroce della croce lo massacra, non ce la fa, cade, si rialza, ricade. Il gesto di un pietoso cireneo, Simone, allevia le sue pene per un attimo. E’ l’ottava stazione, ma il centurione romano non da tregua, gli rimette in groppa la croce. Non finisce più, si prega, si piange con lui. Finalmente il Tempio, il cortile, tutti si distendono. E’ arrivata la fine, la morte, la deposizione e la Resurrezione.

Il Santo Sepolcro, Gerusalemme

Il santo Sepolcro è una struttura massiccia bizantina, assomiglia alla basilica di Ravenna, all’interno il letto di marmo su cui fu adagiato il corpo dilaniato di Cristo, accarezzato da Maria, ora percorso dalla fede sotto forma di panni e fazzoletti che strusciano come per imbeversi di santità. Ecco il Sancta Sanctorum. Lì era stato deposto il corpo. Trascorsi due giorni, al terzo si involò in cielo, atterrando le guardie poste a vigilare sul suo corpo umano per impedire che fosse sottratto e dimostrare così la sua natura umana e non divina. Sconfessati, ma qui interviene la fede.

E’ tardi, siamo stanchi, sbalorditi, commossi, addolorati e per di più incomincia a piovigginare. Ci spostiamo verso il Muro del Pianto che sorregge la spianata delle moschee. Qui il tempio fu costruito due volte e due volte distrutto dai romani, Tito e Adriano imperatori, a causa delle rivolte. Per gioco e ironia della sorte lo spazio è ora occupato dalla moschea di Omar e dal culto islamico, che considera Gerusalemme fra le tre città sacre, oltre a La Mecca e alla Medina. La pioggia cade a scrosci, ci ripariamo sotto una struttura precaria utilizzata come biblioteca e luogo di preghiera. Al muro ci siamo avvicinati come curiosi, rigidamente separati, gli uomini con gli uomini e le donne con le donne. Non per pregare secondo il rito. Vanno e vengono dal tempio uomini vestiti di nero con berretto e ampio colbacco alto come per pararsi dai guai del mondo e donne in nero, con un fazzolettino triangolare ricamato bianco, appoggiato sulla testa.

La Città  Vecchia, Gerusalemme

Appena spiove rientriamo finalmente a Tel Aviv per riposare nell’alloggio che Ilich ha affittato per quattro giorni e poi andare a cena. Le ultime forze le utilizziamo per andare a Giaffa con un taxi, pochi km da Tel Aviv ma sufficienti per notare le differenze fra la modernità dei palazzi e dei grattacieli nella capitale, che sorgono lungo uno spiaggione che ricorda Copacabana, e il centro di Giaffa, fatto di vicoli che salgono e scendono conformandosi alle amenità del terreno. Al porto intravediamo un ristorante popolare pieno di clienti, dal titolo evocativo: Il vecchio e il mare. Ci accomodiamo ed entriamo in contatto con la cucina araba-ebraica, un misto. Ti portano quello che hanno suddiviso minuziosamente in ben 20 scodelle che accompagnano come contorni vegetali un piatto a scelta, il lamb/agnello o il tipico kebab. Non mancano i falafel e l’hummus. Scegliamo di bere il vino locale. Trascorre così la prima serata. Ci apprestiamo a rientrare nella casa che vediamo per la prima volta, un interno di abitazione ebraica, ampia e semplice, non ben rifinita, ma la stanchezza non ci consente di soffermarci sui particolari e crolliamo in un sonno profondo.

Segue … (la III Parte sarà pubblicata mercoledì 3 Aprile)

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