In queste settimane i diplomati, terminate le fatiche della maturità, cominciano ad attivarsi per trovare un percorso formativo appropriato nell’ampio contesto delle proposte delle varie università.
Mi ha colpito e confermato nei miei pensieri un articolo pubblicato tempo fa su uno dei maggiori quotidiani italiani che titolava a tutta pagina “I ragazzi del Mezzogiorno all’assalto delle Università del Nord. Come vivono e studiano i nuovi emigranti della cultura”.
La notizia è significativa perché finalmente anche la grande stampa pone attenzione a queste dinamiche – che negli ultimi anni sono diventate ordinarie – relative ai flussi di “emigrazione culturale” dal Sud al Nord Italia.
Nell’articolo citato si parla addirittura da parte degli esperti di “meridionalizzazione” del corpo studentesco delle maggiori università private italiane (che ovviamente sono al Nord, e in maggioranza in Lombardia). Due sono le interpretazioni di questo fenomeno: i pessimisti vedono un minore interesse della borghesia del Nord verso il mondo universitario; gli ottimisti colgono il segno di una funzione sempre più nazionale dell’università.
Soprattutto Milano si scopre pista di lancio per la vita, come una volta lo era per i ragazzi che arrivavano per lavorare in fabbrica.
Di questi giovani appare modernissimo il comportamento, la disinvoltura, la mobilità nel territorio. Lasciare la propria casa per andare a studiare, godendo di libertà e di benessere economico, sembra ormai un diritto acquisito delle giovani generazioni. Mettono da parte per un po’ il ricordo del sole e del clima della propria terra e vivono i vantaggi della metropoli che li ha accolti in termini di integrazione, apertura culturale, partecipazione a manifestazioni teatrali e cinematografiche, valorizzazione del tempo libero.
L’emigrazione di una volta spingeva all’estero o al Nord con la grinta di “riuscire”. Anche oggi c’è la medesima determinazione nell’affrontare la vita, la formazione, la professione. Lo si percepisce perfino ascoltando le conversazioni durante i viaggi in treno o in aereo, verso o dalla propria città. La sociologia del treno diventa lo specchio per guardarsi, per confrontarsi, per misurare i percorsi compiuti, le conoscenze acquisite, le relazioni costruite e maturate tra storie di precarietà e di fatica, nel contesto delle promesse e delle opportunità della grande città.
Anche i collegi – notoriamente primo luogo di ritrovo e di permanenza per gli studenti – costituiscono uno spaccato di tradizioni e caratteristiche del Sud. Il loro compito non è solo quello di accogliere, di offrire una stanza, un tavolo per studiare, ma di fare sentire gli ospiti a loro agio. Non per questo si affievolisce la nostalgia di casa, il desiderio di rivedere i propri luoghi nativi, i genitori, gli amici. Tuttavia il collegio opera perché gli studenti, pur in una equilibrata nostalgia, vivano e acquisiscano esperienze autentiche. E a partire da queste realtà si sentano poi a loro agio anche nella città.
La storia ci narra la vicenda di Sant’Agostino, brillante intellettuale, universitario, che aveva cercato nella frequentazione dei più illustri maestri del suo tempo le risposte al suo bisogno di verità. Tale ricerca risultava tanto faticosa da portarlo sull’orlo dello scetticismo, convinto di non riuscire a trovare una risposta valida ai suoi aneliti e dubbi. Ma egli stesso confidava: “Quando arrivai a Milano riconobbi che qui era la mia vera stella polare cui affidarmi”.
E’ l’augurio per tutte quelle persone che anche quest’anno lasceranno i loro paesi per andare fuori a studiare.