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Milano e il mare dentro. Sopravvivere alla metropoli – di Giuseppe Selvaggi

11 Aprile 2016 by La Redazione -

Quello che andiamo a presentare è il libro scritto da Giuseppe Selvaggi, cultore di tradizioni popolari ma non solo.  Per meglio illustrare il contenuto del testo, nonché per presentare l’autore,  abbiamo ritenuto doveroso chiamare in causa chi meglio lo conosce, ovvero Agostino Picicco che ne ha scritto la prefazione e lo stesso editore, dei quali pubblichiamo di seguito stralci dei loro lavori.

——— o ———

Sono vari i temi del volume “Milano e il mare dentro. Sopravvivere alla metropoli”.  Le considerazioni sono semplici, garbate, argute, ironiche. Si avvalgono dell’immediatezza delle immagini ed evidenziano in filigrana la maturità dell’esperienza e la meditazione profonda sugli eventi da parte dell’autore. Il fatto che si tratti di articoli e note pubblicate negli anni, dà atto della sedimentazione di emozioni, sentimenti, anche palpitazioni, talvolta rassegnazioni apparenti che non sfociano mai nel pessimismo. Chi conosce Giuseppe Selvaggi e ne apprezza la conversazione e la battuta sempre pronta, qui ne ammira la capacità di coinvolgere il lettore nell’esposizione degli episodi quotidiani che originano, in modo originale, i suoi pensieri. Nei ragionamenti emerge quella saggezza popolare ricca di proverbi, ammaestramenti, detti dialettali che rappresentano il legame con un mondo caratterizzato da semplicità e da valori forti e sentiti, oggi purtroppo fuori moda. In tale contesto sono proposti ricordi, episodi, persone (primi fra tutti i suoi genitori) che popolano la memoria della sua vita. Memoria non solo nel senso di ricordi personali, ma anche in quello dell’espressione di valori, sentimenti, nostalgie, talvolta malinconie, che hanno lasciato una traccia nell’esistenza di Giuseppe Selvaggi. Nel richiamarsi alle tradizioni non fa un’operazione nostalgica perché riscostruisce la memoria collettiva attraverso il confronto con la storia presente. Per questo è un libro sul futuro e non sul passato. Tali ricordi, cesellati con brillante stile narrativo, si snodano nella metafora del viaggio, da quello più lungo in treno da Milano a Bisceglie a quello più breve in metropolitana tra casa e ufficio. Un viaggio che è metafora di vita, un viaggio che prelude a quello più inevitabile nell’oltre. Sì, il tema della morte compare spesso nelle riflessioni di Selvaggi, morte non tanto intesa come meta finale di un cammino quanto come pensiero che aiuta a vivere ora, che cioè detta la direttiva di marcia dell’esistenza.
Sono questi gli elementi che rendono Giuseppe “custode del fuoco” – le parole sono sue – cioè custode di una memoria viva che – nell’oggi – diventa percorso di vita, suscita riflessioni, orienta il cammino e gli dà un senso. Un fuoco che ne ha temprato pure la personalità, apparentemente burbera ma che lo porta a operare fattivamente in favore degli altri non sempre grati o meritevoli. Penso che quel “mare dentro” del titolo del libro – quello della natia Bisceglie, che accarezza le pietre bianche del porto nel tumulto dell’onda, che brilla alla luce del sole mattutino ed è rischiarato da tramonti suggestivi, quello nel quale Giuseppe rivede il volto della mamma e che è stato testimone della sua giovinezza scanzonata – quel mare, dicevo, è stato il “fuoco dentro” che gli ha consentito di sopravvivere alla metropoli – sempre secondo la sua espressione – anzi, secondo me, gliela  fa amare ancora di più, sia negli aspetti più folcloristici che in quelli più umani e relazionali che si traducono negli impegni professionali, sociali, culturali, organizzativi che riempiono la sua giornata e danno la cifra della sua saggezza e umanità.
altri non sempre grati o meritevoli. Penso che quel “mare dentro” del titolo del libro – quello della natia Bisceglie, che accarezza le pietre bianche del porto nel tumulto dell’onda, che brilla alla luce del sole mattutino ed è rischiarato da tramonti suggestivi, quello nel quale Giuseppe rivede il volto della mamma e che è stato testimone della sua giovinezza scanzonata – quel mare, dicevo, è stato il “fuoco dentro” che gli ha consentito di sopravvivere alla metropoli – sempre secondo la sua espressione – anzi, secondo me, gliela fa amare ancora di più, sia negli aspetti più folcloristici che in quelli più umani e relazionali che si traducono negli impegni professionali, sociali, culturali, organizzativi che riempiono la sua giornata e danno la cifra della sua saggezza e umanità.

Agostino Picicco

——— o ———

Milano è Milano. E “il mare dentro” è Bisceglie. L’autore, moderno migrante ricco di quesiti identitari, allaga la metropoli. Migliora la propria condizione esistenziale. Si afferma professionalmente. Mette su famiglia.
Ma poi, come sopravvivere a Milano, quando gli affetti, l’intero paesaggio culturale e gli umori liquidi del luogo d’origine riprendono a sedurre? Far leva sul benessere acquisito come fattore di appagamento, o morire di nostalgia?
E che ne sarà domani, e domani l’altro? Sempre e soltanto a Milano, dove il “lavoro è un’abitudine” e il “tempo meditativo è un lusso”? O anche a Bisceglie, dove i “sospiri” sono dolci e il dialetto è amaro, specie quando traduce sottilmente i verbi “venire” e “tornare”?
Se oggi l’autore affresca l’una e l’altra realtà, che farà domani? Ancora il bancario nella capitale lombarda o “il custode del fuoco” adolescenziale, ravvivato nel braciere biscegliese grazie alla “paletta di ferro” e al “ventaglio di cartone” che porta sempre con sé?
Non sono domande da poco. Rinviano a opzioni esistenziali. Come quelle di altri migranti più sfortunati, che si dibattono fra amori, confini e muri.
Il percorso iniziale è da Sud a Nord. Dal paese mediterraneo alla città europea. Cesura e innesto nella nuova realtà. Studio e lavoro. Radici e frutti. Sogni e soldi. Ambizioni e consumo…
Il viaggio successivo è più ampio e complesso: Milano Bisceglie Milano. Due mondi diversi, andata e ritorno. Due universi. Che l’autore conosce nelle pieghe e nelle piaghe – perché ha occhi per vedere e cuore per sentire – e prova ad accordare, raccontandoli con intelligenza filosofica e dovizia di aneddoti sapienziali.
La prima costellazione è solare e umana, lì “dove i tempi e gli spazi si dilatano all’inverosimile”; l’altra è concreta e frenetica, lì “dove il recupero è affidato al silenzio della festività”, alla dimensione religiosa domenicale, mentre il feriale è laico: legato all’obliteratrice della metro, varcata la quale, come al nastro di partenza, c’è da scattare e basta, per protrarre la corsa senza sosta.
Avviluppato al cuore e alla mente, l’autore estende la propria ricerca di senso all’uno e all’altro mondo, confrontandosi con gli ambienti di vita concreta e i volti che li abitano: la “casa della ringhiera”, la metropolitana, i luoghi della movida, e via Padova; la madre e il padre, Piripicchio, Torrighelli e Mustafà. Il testo è un rogo che arde sui ceppi del vissuto.
Allora: Milano o Bisceglie? La giostra dei fattori identitari richiede un altro giro. Ci pensi con urgenza anche il lettore!

Renato Brucoli, editore

Archiviato in:Anno II - n.13 / Aprile 2016, Milano Città, Sociologia Psicologia Pedagogia Antropologia

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