
Nella mitologia dell’antica Grecia e in filosofi come Aristotele – e altri più moderni – troviamo numerosi esempi di discriminazione femminile (o “gender gap”). E i freddi numeri di numerose ricerche dimostrano che esiste veramente ed esiste ancora. Perché dobbiamo accettare questo antico retaggio che subdolamente è diventato parte della nostra cultura?
La questione della discriminazione delle donne e della leadership femminile sono tornati di grande attualità sia in Italia sia in Europa per via di quanto accaduto al Primo Ministro finlandese Sanna Marin e anche per il dibattito politico nostrano.
La discriminazione è sempre un tema spinoso perché tutti affermiamo di non avere pregiudizi, verso niente e nessuno nel modo più assoluto. La realtà dei fatti è diversa e tocca tutti gli ambiti della vita privata e pubblica. Ed è importante conoscere un po’ di fatti e numeri, per acquisire consapevolezza e fare ognuno la propria parte.
In premessa ho accennato al fatto che la discriminazione delle donne ha radici antichissime: Eva Cantarella, docente universitaria di Diritto romano e di Diritto greco oltre che storica e sociologa, le individua nell’antica cultura greca, nei suoi racconti mitici e negli scritti dei filosofi e dei medici.

È emblematico il mito di Pandora, creatura nata come “un inganno al quale non si sfugge” e da lei discende “il genere maledetto” per usare le parole del poeta Esiodo, vissuto nel VII secolo a.C.. Creata miseramente da acqua e fango, nonostante gli ammonimenti a non aprire il vaso, lei, superficiale e sciocca, spinta dalla curiosità lo aprì facendo uscire i mali del mondo, fino ad allora sconosciuti all’umanità felice. Del resto, Pandora e il vaso erano uno strumento di Zeus per vendicarsi degli uomini, ai quali Prometeo aveva donato il fuoco.
In sintesi: secondo la mitologia greca la vita dell’uomo è diventata dolorosa a causa delle donne.
E non va meglio con la filosofia: Aristotele esclude le donne dalla vita pubblica e sostiene che “il maschio è per natura migliore, la femmina peggiore, l’uno atto al comando, l’altra all’obbedienza”. E non è un caso isolato. Platone, lasciando forse uno spiraglio, affermava che anche le donne — se adeguatamente educate — fossero in grado di contribuire alla vita della comunità politica e di entrare a far parte del ceto dirigente.
Qual è il pensiero, la teoria alla base della discriminazione dell’antica Grecia? Il riconoscimento della differenza sessuale e biologica della donna rispetto all’uomo: l’uomo è il prototipo originale universale dell’umanità, la donna differisce e pertanto ha un valore negativo e risulta gerarchicamente subordinato, inferiore. E così si fissano i ruoli che uomini e donne devono incarnare e ricoprire sulla base di queste differenze, vere o presunte che siano.
Anche grazie agli studi sui pregiudizi inconsci insiti nella natura umana e alla possibilità di intervenire per evitarli, le conquiste e i progressi fatti dalla condizione femminile negli ultimi cinquant’anni sono molto significativi, vediamo alcuni esempi di gender gap:
- Discriminazione assoluta – è emblematico il caso della New York Philharmonic Orchestra di Philadelphia: sostanzialmente composta da uomini fino agli anni ‘70, quando vennero sperimentate le audizioni al buio, attraverso paraventi che celavano alla commissione se a suonare fossero uomini o donne. E oggi più del 45% dei dipendenti totali dell’orchestra è donna
- Discriminazione settoriale (o segregazione orizzontale) – restando in ambito musicale, una ricerca tedesca evidenzia che nella scelta degli strumenti le donne prevalgono nettamente nelle arpe e nei flauti. Da una ricerca sul settore pubblico italiano, emerge che oltre metà delle donne sono impiegate nel comparto scuola, e un altro quarto nella sanità lasciando agli altri settori un ruolo decisamente minore
- Discriminazione di ruolo o posizione (o sotto-rappresentazione femminile nelle posizioni di vertice, detto anche segregazione verticale o “glass ceiling”)- stando al rapporto “Women in Business” elaborato da Grant Thornton, in Italia nel 2022 le donne in posizioni di comando sono il 32%, le donne CEO sono il 20% e quelle in ruoli nel senior management sono il 30%.. certo tra i dirigenti più giovani si osserva una distribuzione di genere più equa.
- Discriminazione di stipendio (o gender pay gap)- le stime di Eurostat indicano che la retribuzione oraria lorda di una donna europea nel 2020 è stata più bassa del 13% rispetto ai colleghi uomini.
C’è altro da aggiungere? Si, tra gli effetti dell’esclusione o della marginalizzazione delle donne, c’è il “gender data gap”, che significa che ci sono pochi dati disponibili sui corpi, le abitudini e i bisogni femminili. Un esempio concreto: le donne hanno quasi il doppio delle probabilità rispetto agli uomini di rimanere intrappolate in un’automobile dopo un incidente. Lo dice un ampio studio inglese che è partito dall’assenza di manichini modellati sulle donne per i crash test. La statura e la corporatura media fanno sì che le lesioni siano diverse e più gravi, se i sistemi di protezione non vengono progettati tenendo conto anche delle donne al volante. Perché non avviene? Perché mancano dati sulle donne. Alcune case automobilistiche (ancora poche) negli ultimi anni hanno fortunatamente introdotto delle contromisure.

Perché è importante continuare a spingere questi cambiamenti e ad accelerare il raggiungimento della parità tra donna e uomo in ogni ambito della vita privata e pubblica? Se le motivazioni etiche e di salute non sono sufficienti, ricordiamo che si possono generare concreti vantaggi economici: secondo le stime della Bank of America, una piena uguaglianza di genere potrebbe comportare un aumento del Pil mondiale fino a 28 trilioni di dollari, con una crescita di 31 punti percentuali entro il 2025. Secondo le stime dell’ Eige, l’European institute for gender equality si avrebbe un aumento del PIL pro capite dell’Unione Europea tra il 6,1% e il 9,6%.
Per concludere: è plausibile che nell’ampia e ricca eredità dell’antica cultura greca ci sia anche il lascito della discriminazione delle donne, poco gradito ma anche sempre meno importante soprattutto per le giovani generazioni, che sembrano dare poco peso alle differenze di genere. L’auspicio resta una piena parità tra donne e uomini con pari opportunità di scelta e promozione del merito.
Vorrei concludere con l’Articolo 3 della Costituzione Italiana, davvero anticipatoria e ancora attuale, che non solo prevede pari dignità e uguaglianza davanti alla legge ma prescrive il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
E le radici dell’Obiettivo 5 dell’Agenda 2030 dell’ONU sembrano arrivare proprio al nostro Articolo 3.
Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.
Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera.
In Finlandia il 6 settembre è entrata in vigore la riforma, voluta dalla premier Sanna Marin, che prevede 160 giorni di permesso parentale per entrambi i genitori e di trasferirne 63 al partner se lo desidera, con l’obiettivo di conciliare carriera e vita familiare di entrambi i genitori. Ecco un esempio concreto di politiche attive per la parità di genere e anche per la natalità.