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Je ne suis pas Charlie

12 Settembre 2016 by Giuseppe Torregrossa -

La polemica sulle vignette pubblicate dal settimanale francese Charlie Hebdo sul terremoto di Amatrice sembrano essersi sopite, com’è giusto che sia. Il sospetto che le vignette, da autorevoli fonti definite indegne perché offensive nei confronti delle vittime innocenti del terremoto, siano state pubblicate per suscitare volutamente quelle polemiche che avrebbero aiutato il settimanale a vendere più copie è più che fondato e, peraltro, fortemente condiviso da gran parte della stampa d’oltralpe. Personalmente non posso che condannare un simile meschino stratagemma, ma voglio farlo guardando la vicenda sotto diversi punti di vista.
Innanzitutto Charlie si definisce un settimanale «satirico», e allora vediamo cosa significa essere un giornale satirico. Apriamo un vocabolario della lingua italiana, il Sabatini Coletti per la precisione, e vediamo quale definizione dà della satira:

«satira[sà-ti-ra] s.f.
1 Genere della letteratura latina, prima teatrale poi solo poetico, che mette in ridicolo personaggi, ambienti o costumi con toni comici o sarcastici e intenti moralistici: la s. latina; ogni componimento poetico che rientra in questo genere: una s. di Orazio
2 estens. Qualunque opera letteraria o artistica, vignetta, discorso, atto o atteggiamento ecc. che abbia intenti satirici nei confronti di persone, classi sociali, istituzioni. SIN canzonatura, caricatura: usare le armi della s. || fare la s. di qlcu. o di qlco., parodiarlo, canzonarlo».

La sede di Charlie Hebdo a Parigi
La sede di Charlie Hebdo a Parigi

Ora, se vogliamo vedere l’opera del settimanale francese nel corso dei decenni durante i quali ha fatto sentire la propria voce, ebbene si, ha fatto satira. Magari estremizzano il concetto, in modo dissacrante e irriverente, spesso offendendo i sentimenti religiosi dei fedeli di tutte le religioni senza discriminazione alcuna, ma sempre prendendo di mira un potere altrimenti inattaccabile con altri mezzi.
Però, se stimolare così la riflessione del lettore facendolo sorridere nel porre in evidenza aspetti di una vicenda sui quali altri cercano di porre un velo per evitare imbarazzi ai potenti è una cosa, farlo
 «usando» i morti causati da una catastrofe naturale e passando come un trattore sulla sensibilità di persone alle quali queste immagini possono arrecare ulteriore dolore è un’altra cosa. E questo al di là delle considerazioni di merito sulla sostanza del messaggio che può essere o non essere condiviso. Speculare sul dolore delle persone innocenti pone quindi una questione morale che dà forza a chi, senza fare sconti alla rivista francese, ha definito i suoi contenuti «spazzatura».


Il fenomeno della speculazione sul dolore è cosa anche nostrana. La tv del dolore che inonda le reti televisive italiane non è certo meno censurabile e merita senz’altro un approfondimento a parte.


La satira, quella vera, non è mai scevra da polemiche, e la stessa rivista francese nel corso degli anni ha avuto modo di saggiare fino a che punto le reazioni suscitate alle sue provocazioni possono diventare pericolose. Più volte il giornale è stato sospeso dalle Autorità e, in alcune occasioni, la ripresa delle pubblicazioni è stata resa possibile solo cambiando nome alla testata.

Ciò che rimase della redazione parigina di Charlie - Hebdo dopo l'incendio del 2 novembre 2011
Ciò che rimase della redazione parigina di Charlie – Hebdo dopo l’incendio del 2 novembre 2011

Qualche volta la reazione è stata violenta, come le bombe molotov lanciate contro la sua redazione il 2 novembre 2011 come risposta ad una vignetta pubblicata sul risultato elettorale in Tunisia che vide la vittoria del partito islamico. Ancora più violenta quella dello scorso 7 gennaio 2015 quando, in risposta ad un’altra vignetta sul leader dello Stato islamico, due uomini armati di kalashnikov fecero irruzione nella redazione facendo strage di suoi collaboratori e di poliziotti. Quell’azione vide un’alzata di scudi del mondo occidentale a difesa della libertà di satira, che si manifestò anche in concreti aiuti finanziari alla rivista e fu caratterizzata dall’espressione riportata ovunque «Je suis Charlie», con la quale tutti noi abbiamo voluto manifestare la difesa della libertà di espressione quale principio fondamentale della nostra civiltà.Una considerazione scaturisce però dalla forzatura condotta con le vignette sul terremoto. La redazione del giornale francese fu letteralmente sterminata dagli attentatori islamici e, per assicurare la continuità di pubblicazione, fu necessario sostituirla con un’altra. Un’altra, composta da persone diverse dalle prime. E questo dimostra che non basta il nome di un giornale, di una istituzione, di un gruppo associativo di qualsiasi natura, a fare da garanzia di continuità.

Se Charlie Hebdo pre attentato di gennaio 2015, seppure scomoda e oggetto di ritorsioni, valeva la pena di essere difesa perché simboleggiava la libertà di espressione, quella post attentato non può certo rappresentare la stessa libertà. Lo scadere della sua «forma», ripeto non del contenuto del messaggio sul quale in questa occasione non esprimo commenti, è chiaro sintomo dello scadere dei suoi redattori. A questa nuova Charlie Hebdo non posso che rivolgermi con un «Je ne suis pas Charlie».


Il livello intellettuale e la scarsa sensibilità umana dimostrata dalla nuova redazione stimola un’ultima considerazione: se lo scopo dei terroristi era quello di zittire una voce imbarazzante e irriverente ma allo stesso tempo pericolosa perché capace di fare satira, ebbene ci sono riusciti.

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