Beat voodoo, rock haitiano, blues americano. È questa la miscela esplosiva che viene fuori da Siltane, l’ultimo album della cantante Moonlight Benjamin, definita dalla stampa la Nina Hagen di Haiti, sul palco dell’Alcazar giovedì 21 novembre alle ore 21.30. Moonlight Benjamin appartiene alla nuova generazione di artisti che sta facendo parlare di sé per la riscoperta della ricca tradizione musicale haitiana, oscurata per lungo tempo dalla vicina Cuba. Trasferitasi in Francia, la Benjamin canta in creolo e francese e nei testi delle sue canzoni denuncia le condizioni di sfruttamento e la mancanza di libertà del suo Paese natale, riflettendo l’immagine di una artista che si interroga sulla sua identità di figlia della diaspora e di musicista cosmopolita.
Si ritorna al Monk la sera successiva, venerdì 22 novembre, per l’incontro a dir poco affascinante fra Gary Bartz, un pioniere del genere fusion, e i Maisha, band esponente della nuova scena londinese.
Sideman negli anni ‘60 di figure dell’Olimpo della musica jazz come Charles Mingus, Max Roach, Miles Davis, Art Blakey e McCoy Tyner, il sassofonista Gary Bartz nei primi anni ’70 sviluppa il progetto della NTU Troop, formazione nella quale ha fatto confluire la tensione della poesia urbana, il funk, il soul, il blues, il jazz, l’avanguardia, intuendo con felicissimi esiti la complessità del messaggio sonoro afroamericano. E proprio come i NTU Troop, i Maisha, mescolano soul, funk, afro e jazz con rinnovata freschezza.
La terza settimana del Roma Jazz Festival si chiude sabato 23 novembre alla Casa del Jazz, ore 21, con Federica Michisanti Horn Trio, una delle musiciste che si stanno imponendo nella scena del jazz italiano come contrabbassiste, compositrici e leader di propri gruppi e progetti. Una vera e propria onda che sta ridefinendo il profilo di questa musica. Nel 2018 la Michisanti ha vinto il Top Jazz (premio della critica indetto dalla rivista Musica Jazz) come nuovo talento. L’Horn Trio la vede affiancata da Francesco Bigoni al sassofono e da Francesco Lento alla tromba e al flicorno, in un jazz cameristico dove il piacere della scrittura si coniuga ad aperture verso l’improvvisazione.
A fianco di altri grandi nomi internazionali, è fortissima la presenza italiana nell’ultima settimana del Roma Jazz Festival. Si parte mercoledì 27 novembre nella Sala Borgna dell’Auditorium PdM (ore 21) con il Leonard Bernstein Tribute a opera del sassofonista Gabriele Coen, il musicista italiano che più ha indagato e lavorato sul rapporto tra jazz e musica ebraica in tutte le sue forme e reciproche acquisizioni. Il suo nuovo progetto è dedicato alla figura del celeberrimo compositore, pianista e direttore d’orchestra del quale sono noti l’amore per il jazz e la vicinanza con i movimenti di liberazione afroamericani come le Black Panther. Dalle musiche del celebre musical West Side Story, ambientato sullo sfondo delle tensioni razziali tra bianchi e portoricani, fino ad arrivare a brani rari, Coen reinterpreta quel patrimonio attraverso la lente del jazz contemporaneo.
Si rimane in Sala Borgna anche il giorno seguente, giovedì 28 novembre, con Il Jazz visto dalla Luna di Luigi Cinque e la sua Hypertext O’rchestra che vanta come componenti, fra gli altri, la cantante Petra Magoni, il pianista Antonello Salis e il percussionista Alfio Antico. Special guest della serata Adam Ben Ezra al contrabasso e voce. Strabiliante contrabbassista di Tel Aviv, Adam Ben Ezra è considerato una star del web. La sua missione è quella di portare il contrabbasso nel ventunesimo secolo: da strumento di sottofondo e accompagnamento a solista e virtuoso. Adam crea atmosfere sonore uniche in cui unisce elementi di jazz, rock e world music con un sound affascinante, versatile e visionario. Polistrumentista, compositore e regista, Luigi Cinque è considerato uno degli autori rappresentativi della frontiera tra antropologia della musica, scrittura musicale e nuove tecnologie applicate, in grado di passare dalla musica classica europea a quella tradizionale etnica, al jazz, al rock, alle nuove espressioni tecno-acustiche, al teatro, alla danza, alla parola poetica, fino al canto mediterraneo. Il progetto e le musiche originali de Il Jazz visto dalla Luna sono di Luigi Cinque con citazioni di grandi del blues e del jazz nonché di Stravinsky, Varèse, Cage, Davis, Balanescu, AREA, Kraftwerk, African and Balkanian music.
Fra i momenti più attesi di tutto il festival c’è sicuramente il concerto di Carmen Souza venerdì 29 novembre alle 21 nella Sala Borgna dell’Auditorium PdM per presentare il suo ultimo disco in uscita nel mese di ottobre. Il disco è The Silver Messengers ed è un tributo al pianista pioniere dell’hard bop Horace Silver, fra le sue principali fonti di ispirazione. Carmen Souza è una delle voci più interessanti della nuova generazione della world music. Nata a Lisbona da una famiglia capoverdiana di estrazione cristiana, la sua musica fonde tanti generi musicali: dalla morna al batuke, dal Jazz al soul e oltre. Ispirato da Billie Holiday, Nina Simone e Casara Evoria, il suo canto si esprime in melodie inusuali, umori esotici, africanismi, scat jazz, vibrati controllati e frasi dall’andamento imprevedibile. Il suo concerto a Roma sarà una nuova occasione per intraprendere un viaggio fra Capo Verde, Angola, Mozambico, Brasile, Cuba, Stati Uniti, ripercorrere le vecchie rotte dell’Atlantico Nero e tracciarne di nuove.
Il penultimo concerto della 43° edizione del RJF è affidato al sassofono di Roberto Ottaviano che sabato 30 novembre in Auditorium PdM – Sala Borgna, presenta Eternal Love, la sua ultima produzione discografica. In Eternal Love, Ottaviano inanella una serie di composizioni di Abdullah Ibrahim, Charlie Haden, Dewey Redman, Elton Dean, John Coltrane, Don Cherry, accanto a suoi brani originali. La scelta è dichiarata dallo stesso musicista e “richiama ad una presenza tangibile tutta la bellezza fiera e battagliera della madre terra e delle sue migliori anime per celebrare in questi tempi difficili, la speranza e la voglia di riscatto del genere umano”. Una musica che vuole andare all’essenza universale del jazz come preghiera laica, rituale comunitario, canto di liberazione.
Domenica 1° dicembre il festival si chiude con il concerto Mare Nostrum, ensemble composto da musicisti che non hanno bisogno di presentazioni: Paolo Fresu, tromba e flicorno, Richard Galliano, fisarmonica e accordina, Jan Lundgren, pianoforte. In Sala Sinopoli dell’Auditorium PdM, ore 21. Il viaggio del Roma Jazz Festival termina così dov’era cominciato, richiamando con il nome dell’ensemble quel Mediterraneo che è ricordo e promessa di una convivenza fertile. Dal punto di vista artistico, Mare Nostrum non è solo l’incontro di tre personalità forti che hanno sempre praticato la trasversalità dei generi, l’ibridazione dei linguaggi, il piacere della scoperta e del confronto. Ogni musicista porta in dono proprie composizioni e chiama gli altri a condividerle. Il tutto completato da brani di repertorio che provengono da diverse tradizioni, latitudini e pratiche per una collaborazione decennale che si è suggellata in tre album registrati nei rispettivi paesi di origine. Mare Nostrum è uno sguardo aperto sul jazz e sul mondo.
Infine, in occasione del festival, ripartono in Auditorium Parco della Musica le Lezioni di Jazz curate da Stefano Zenni. Giunte alla loro ottava edizione, si confermano l’occasione per approfondire il jazz e le sue figure più significative, i capolavori memorabili, gli strumenti, le connessioni con i grandi temi della cultura. Il ciclo di 10 lezioni avrà inizio il 10 novembre con un incontro perfettamente in linea con il tema del RJF2019: storia e analisi del capolavoro di Charles Mingus Meditations on integration.
Fonte: Ufficio Stampa – GDG Press