Debutta il giorno esatto in cui, cento anni fa, i bolscevichi formarono il governo rivoluzionario presieduto da Lenin come primo risultato dell’insurrezione di Pietrogrado, città che dopo 7 anni sarebbe diventata Leningrado.
E’ “I Soviet + L’Elettricità”, spettacolo/concerto ideato e diretto da Massimo Zamboni – musicista, scrittore e fondatore dei CCCP fedeli alla linea – che andrà in scena in prima assoluta al Teatro Augusteo di Napoli proprio il 7 novembre per proseguire poi a il 12 a Firenze, il 13 a Bologna, il 15 a Udine, il 20 a Torino e concludersi il 7 dicembre a Reggio Emilia. A ripercorrere brani storici come “A ja lju blju SSSR”, “Morire”, “Manifesto” e “Huligani dangereux”, al fianco di Zamboni ci saranno artisti e musicisti fra i più significativi della scena italiana, alcuni dei quali già compagni di diverse avventure di Massimo: la cantante e attrice Angela Baraldi, il leader degli Offlaga Disco Pax Max Collini, l’Artista del Popolo Fatur, l’ex Üstmamò Simone Filippi, il percussionista Simone Beneventi, Cristiano Roversi alle tastiere e basso e il chitarrista Erik Montanari.
Per sostenere “I Soviet + l’Elettricità”, dal 7 settembre è attiva la campagna di crowdfunding su MusicRaiser che si concluderà il 7 novembre.
Dedicato al centenario della Rivoluzione Russa, “I Soviet + L’Elettricità” è un comizio musicale che, attingendo al linguaggio, alle parole d’ordine e ai simboli del socialismo reale, ne evoca il mito infranto.
In un palco dominato dall’iconografia sovietica, con tanto di tribune d’onore e podio direttamente mutuati dalle cerimonie politiche solenni e oppressive di quel mondo ormai lontano, i cantanti diventeranno oratori, i musicisti membri del Partito, il gruppo musicale Apparato. Così, la struttura musicale, tratta in massima parte dal repertorio di CCCP-Fedeli alla Linea (ma con significative deviazioni come l’estratto dalla 7a sinfonia di Shostakovich, dedicata all’assedio di Leningrado), si articolerà fra celebrazione e sgomento, facendo esplodere la contraddizione fra la scenografia ufficiale e la fragilità del singolo. Canzoni che scivolano le une nelle altre mescolandosi alla parola recitata, agli slogan, alle sonorizzazioni, alle performance, alle proiezioni. Un concerto che subito si trasforma in un’azione teatrale-musicale in cui sarà tutto il ‘900 a trascorrere sul palco, attraverso l’alternanza dei momenti più dolorosi – come lo stalinismo, le dittature, la guerra in Afghanistan e quella nei Balcani – con quelli più alti e solenni, per celebrare quell’ambizione a sentirsi uguali e padroni del proprio destino che anima gli uomini, ancora oggi che è franata la velleità socialista e l’uomo si è riscoperto come creatura complessa, fatta di spirito, bisogni, natura, modellato da secoli di storia e da retaggi millenari.
Pankow, Leningrad, Togliattigrad, la Cortina di Ferro, il Muro, e poi ancora la Jugoslavia, la Cecoslovacchia… Nomi astratti, remoti come ricordi di scuola, come le estinte Cartagine o Babilonia. Il Patto di Varsavia, la DDR, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, interi continenti inabissati nella voragine, come Atlantide. Cosa è rimasto nell’immaginario collettivo di quei mondi?
Nel secolo odierno quelle passioni accese dalla rivoluzione d’Ottobre sono incagliate nei libri di storia, e forse l’unico modo sensato di riparlare oggi della presa del Palazzo d’Inverno, è tornare a dar vita alle parole di allora, scontrandole con quelle dell’oggi, elaborandole in un testo drammaturgico moderno che non teme l’enfasi, l’utopia, ma nemmeno la disperazione.
Fonte: Ufficio Stampa GDG press