Le settimane successive alla Pasqua sono caratterizzate dalla benedizione dei sacerdoti nelle case, occasione per incontrare le famiglie e gli ammalati.
Si sa che è un compito gravoso e impegnativo, che costringe il povero prete a visitare tante abitazioni in poche ore e in modo rapido non potendo accontentare tutti col fermarsi un po’.
Appartiene ormai al romanticismo del passato la visione del sacerdote che, nel chiarore primaverile, indossa gli abiti liturgici ed è accompagnato dai chierichetti col secchiello dell’acqua santa e la borsa delle offerte. Oggi il sacerdote con più semplicità cerca di adeguare modi e orari alle esigenze della vita moderna, magari si ferma ad assaggiare un dolce e a discutere, accogliendo confidenze e donando una parola di speranza alle persone che incontra. Per questo è più consono parlare di “visita alle famiglie” che non di “benedizione delle case”.
Del resto non pare neanche più opportuna una visita indiscriminata a tutte le famiglie. Sul territorio parrocchiale vivono infatti credenti e non credenti, oltre che appartenenti ad altre confessioni cristiane e religioni, se non a sette. Lo stesso dicasi quando il sacerdote visita aziende o luoghi di lavoro con personale che può professare altra religione. Occorre quindi che la visita sia chiesta non solo dal titolare, ma anche dal consiglio di fabbrica. Bisogna tener conto di questo pluralismo e muoversi con attenzione e rispetto.
Se vissuta come pre-evangelizzazione, la visita può costituire il germe per la nascita di un’amicizia o di un rapporto con la parrocchia. Essa serve inoltre a conoscere situazioni di disagio (portatori di handicap, anziani soli, coppie in crisi, famiglie povere, figli soli perché i genitori sono separati, pensionati con la pensione minima che il carovita ha reso indigenti) da segnalare alla Caritas o al gruppo Famiglia. Di solito il sacerdote consegna anche qualche pubblicazione appropriata, eventuali scritti del vescovo, il foglio parrocchiale con l’orario delle celebrazioni eucaristiche e altre iniziative.
In alcuni casi, soprattutto al Nord Italia, capita che il sacerdote non riesca a visitare da solo tutte le famiglie e quindi coinvolga coadiutori del parroco, assistenti degli oratori, suore, diaconi permanenti e laici. In quest’ultimo caso occorrono delle attenzioni, preparando le persone, indicando il laico preposto come rappresentante della comunità cristiana, facendo conoscere alla comunità i laici incaricati, considerata la diffidenza oggi diffusa nel far entrare estranei in casa. Per le suore è più facile essere accettate dato che sono riconoscibili dall’abito, ma il loro coinvolgimento è limitato per evitare di dare ancora un’immagine di comunità cristiana fatta di preti e suore.
Tante attenzioni in un contesto di società pluralista e di chiesa conciliare rivelano che anche attraverso il rito della visita alle famiglie, se proposto in modo non formale, è possibile evangelizzare e dimostrare la vicinanza rispettosa della chiesa alla gente e alle famiglie stesse.