La ricorrenza di San Francesco di Sales protettore dei giornalisti, degli scrittori e degli operatori della comunicazione, che cade il 24 gennaio, dà occasione per riflettere sul ruolo dei media nella società della comunicazione.
In questa sede, alla luce degli spunti emersi dalle riflessioni offerte da vescovi e giornalisti, desideriamo dedicare particolare attenzione al ruolo dei tanti giornalisti che impegnano nel mondo dei media la loro professionalità con generosità e abnegazione. Non per nulla Tertulliano scriveva che “l’inchiostro degli scrittori è prezioso come il sangue dei martiri”.
Infatti, se è vero che ricercare e servire la verità (e non gli interessi di gruppi ristretti) è un comportamento pacificamente riconosciuto e ritenuto normale dal punto di vista dell’etica professionale, c’è il rischio che nei fatti questa evidenza non venga colta a causa della situazione particolare che sta vivendo il nostro paese.
Compito del giornalista è servire la verità, non i potenti, evitando le manipolazioni delle menti e delle coscienze, con spirito di servizio e di professionalità. Se si perde questa funzione, non viene più svolto quel ruolo di stimolo alla crescita delle persone, così importante anche per difendere la pace.
Il beato Giacomo Alberione, fondatore dei Paolini, beatificato da Giovanni Paolo II e icona incontestabile del moderno apostolato, parlando dei giornalisti e della loro vocazione popolare, faceva presente che se non si lavora con le proprie mani, non si è vicini all’anima del popolo: “Voi dovete essere capaci di fare di tutto: scrivere, comporre, impaginare, stampare, diffondere”.
Tale citazione sembra molto vicina alla definizione che qualcuno ha dato del giornalista come “artigiano dell’attualità”, volendo significare proprio il suo cogliere la notizia, renderla nota al pubblico garantendone la veridicità e il rispetto delle persone, sia di chi è coinvolto nei fatti sia di chi è ricettore della notizia stessa. In tal senso è necessario dare le informazioni con sobrietà e correttezza, senza inquinamenti, doppi fini, sovrastrutture ideologiche, manipolazioni.
Viene in mente la frase di un autore laico, Giosuè Carducci, il quale diceva che chi usa quindici parole quando ne basterebbero dieci è capace di qualsiasi misfatto.
Per questo mi pare significativo che il buon giornalista adegui anche lo stile, oltre che i contenuti, alla trasmissione di valori che siano espressione di cultura e di avvicinamento alla gente suscitando fiducia e speranza, espressioni della sensibilità, della maturità e di quanto ormai la gente chiede.
Non mancano numerosi ed eccellenti strumenti tra i mezzi di comunicazione, anche in ambito locale, suddivisi tra varie testate, periodici, radio e TV. E’ importante tener presente, però, che tali strumenti da soli non producono utilità se non sono supportati da interpreti sul territorio che ne valorizzano la portata e le potenzialità.
La comunicazione è una dimensione imprescindibile della società – e quindi anche della pastorale – di cui le comunità devono appropriarsi senza complessi e senza deleghe in bianco.
Lo sviluppo della stampa e dei mezzi di comunicazione in generale indica la maturità delle nostre comunità rispetto alle sfide culturali che incombono. Non è più l’ora del pressappochismo ma il tempo dell’ingresso in un settore caratterizzato da competenza, capacità e professionalità, riconoscendo come obiettivo finale il servizio del bene comune universale. Il vero ruolo dei media di ispirazione cristiana in funzione della missione evangelizzatrice della Chiesa è quello di aiutare e stimolare a tal punto l’utente da indurlo a chiudere il giornale o a spegnere il televisore per incontrare una comunità che vive e dialoga.
Foto in evidenza: la statua di Indro Montanelli all’interno degli omonimi Giardini a Milano.