Non è nuovo alla poesia Antonio Sabetta, 58enne da Cutrofiano ma nato nella vicina Galatina, terra del ri/morso, patria di San Paolo o meglio delle tarantate. Un terra ri/arsa, dove le passioni sono contenute ma esplodono fino alla sfinimento appena si innalza la nota di un violino o la percussione di un tamburello o quando ai due suoni si accompagnano le note stridule della fisarmonica. Un paesaggio agricolo, frutto di sudore, di lacrime e sangue, per lo spietramento e per la caparbietà con la quale secoli, millenni di generazioni hanno tratto di che vivere. Ai margini lambito dal mare, anzi dai mari. Gli ulivi, contorti per assecondare il flusso del vento, ora da sud-est lo scirocco o da nord la tramontana, o da ogni direzione, più raro lo zefiro, il vento dolce della primavera e dei primi amori, invano invocato dal poeta. Lo attende il tepore, Antonio Sabetta, della stagione estiva che possa rincuorare e riscaldare il suo animo, a volta disilluso dagli uomini, e dalle loro aspirazioni fallaci. Ulivi che da questa parte sono ora gravemente compromessi, dal batterio dicono, più verosimilmente dall’incuria degli uomini che hanno reso desolata questa terra a furia di irrorarla di prodotti chimici con l’illusione di moltiplicare il prodotto ma con il risultato di renderla un deserto, dove si riverberano i sentimenti del poeta. Egli si sofferma a pensare al tempo, invida aetas come diceva Orazio, attraverso l’osservazione del declinare delle stagioni. Si avverte nei suoi versi, sempre controllati con l’uso di un linguaggio ricercato e appropriato, lo snodarsi delle questioni esistenziali: l’amore, la vita e la morte, la forza e la decadenza, il dubbio atroce delle finalità della nostra esistenza. Lo sguardo indagatore si sofferma e trova una momentanea frescura durante le notti insonni quando finalmente può godere della pace universale.
I ‘Canti della mia terra’ trovano in Antonio Sabetta il loro cantore, umile, dimesso ma sempre vigile, pronto a percepire il minimo movimento del cosmo attraverso la più insignificante creatura o attraverso l’accartocciamento delle foglie lungo il sentiero che conduceva al casolare, lui ebbro di felicità durante la fanciullezza. Che cosa resta di quelle sensazioni? Nostalgia cara e irrecuperabile, il trascorrere del tempo picchietta la nostra vita e concede solo sprazzi di luce e di vitalità che il poeta coglie al volo e li eleva fino a diventare il canto dell’umanità alla ricerca dell’amore universale. Antonio Sabetta ha già pubblicato ‘Florilegio’ nel 2000, ‘Mondanità’ nel 2007, ‘Frammenti lirici’ nel 2014. La sua vita, la sua storia è innervata a quella della sua terra, il Salento, in condizioni di difficoltà economiche. Ci dispiacerebbe che la sua ispirazione fosse compromessa dalle condizioni precarie della sua esistenza. Perciò un invito a sostenere il suo afflato poetico, materiale e spirituale. ‘Canti della mia terra’ è stampato in proprio, nella tipografia Amato di Cutrofiano, pp. 62, € 5,00.