Afosa è la notte che precede la ripartenza per Milano, ancora più afosa se il pensiero di un viaggio di risalita al nord in macchina genera incubi e preoccupazioni. Non riuscendo a dormire ascolto i suoni della notte. Le finestre sono aperte e il mio orecchio divenuto più sensibile per la preoccupazione di non sentire la sveglia diventa recettivo a ogni minimo suono o voce. L’abbaiare di un cane, clacson, frenate di auto e all’improvviso fuochi d’artificio esplosi per chiudere una delle tante feste di fine estate. Nel letto mi giro, mi rigiro, fuori è ancora buio, cambiano i suoni, inconfondibile il rumore dei trattori e di voci di braccianti che si apprestano a iniziare la vendemmia. Per chi osserva le altrui fatiche tutto è molto romantico se uno non deve piegare la schiena nei campi, se ci pensi bene ti accorgi di come la vita contadina sia altrettanto dura di quella delle metropoli dove ed in entrambi i luoghi fatica e preoccupazioni spengono la voglia di contemplazione di una natura che appare magica o avara a seconda degli occhi di chi guarda. Inutile resistere alle tentazioni del letto, bisogna partire, la gatta che ha intuito tutto si è nascosta, alle tre di notte inizia la caccia e finalmente con le lusinghe dei croccantini compare e si fa catturare da mia moglie. Si parte, animato dalle migliori intenzioni ci si avvia lasciando alle spalle il paese direzione autostrada per Milano. Sulla strada mezzi agricoli e macchine di ritorno da discoteche con giovani non proprio fatti di gazzosa inducono a non distrarsi, entrati in autostrada innesto il “pilota automatico” la mia macchina conosce il percorso. E’ ancora buio, sono le quattro di mattina, l’autostrada semi deserta appare come un serpente che si allunga e stende. Superato il cartellone che indica che la Puglia è finita mi capacito che anche le ferie sono finite. Devo fermarmi il più tardi possibile, macinare tanti più kilometri, questa volta si viaggia bene è domenica e non ci sono camion, è la domenica l’ultima di agosto! Storicamente quella dei grandi rientri di massa. La prima tappa è la sosta per sgranchire le gambe, ci fermiamo in autogrill, dimentico del calendario mi dico che ho fatto bene a non partire il sabato e che in fondo non è un giorno da bollino nero. Riparto, le corsie si ingrossano, a tratti e inspiegabilmente le auto si trovano in fila come vagoni di un treno, più si sale verso il nord e più le auto e i camper aumentano. I camion, che ci fanno, non dovevano essere fermi? Intorno da Ancona il cielo diventa grigio nero, non promette nulla di buono, di li a poco dall’alto cade una quantità d’acqua che non consente la visibilità che a pochi metri, praticamente mi trovo alla guida di un sommergibile, in tanti si fermano sperando che spiova io vado eroicamente incontro a secchiate d’acqua che il tergicristalli non riesce a spazzare… mi affido all’istinto, alle luci di chi lentamente mi precede, all’attenzione di chi mi segue e sulla buona sorte, riscoprendo inaspettatamente la fede mentre invoco in silenzio divine protezioni. Finisce di piovere, dai in fondo ce la siamo cavata, rivedo il sole e riappaiono gli incolonnamenti, le file lentamente si allungano. Iniziamo con attese, brevi ripartenze, immobili sotto il sole respirando al ritmo dei motori accesi. Tu sei li in fila come i pensionati in posta il giorno del pagamento delle pensioni, sulla corsia di emergenza ogni tanto sfrecciano incuranti furbastri, macchine e moto tante con targa straniera, ti auguri che incappino in qualche pattuglia della stradale… niente. Alla fine come per incanto, come si è creata la coda svanisce senza un perché, il traffico diventa scorrevole …perché? mistero. Mentre sei in coda incroci tante e tante volte le stesse persone e mentre sei tra il rassegnato e l’arrabbiato immagini di vedere i fanciulli che si trovano sui sedili posteriori diventare prima adolescenti e poi adulti. Seconda sosta, l’autogrill è pieno come ad una fiera di paese, prima di entrare faccio il pieno alla pompa di benzina più cara di tutta l’autostrada. E’ ora di pranzo e sul piazzale si nota, poi la fauna della sosta si divide tra ripartenza immediata, bar, ristorante o affollatissimi bagni ed è qui in fila per entrare nel bagno che scopri il senso del non privilegio; anche chi arriva su costosissime auto deve fare la fila per entrare. Nell’autogrill il percorso è forzato, lo sguardo vaga tra peluche di dimensioni umane a mega piramidi di Toblerone. Il caffè troppo lungo o troppo corto, cercando l’uscita lo sguardo incrocia cose che fuori da quel luogo non esistono come gli enormi pacchi di patatine e bottiglioni di pop corn. Tutto comprerei, in macchina non c’è più posto per niente, più tardi mi accorgerò che le barrette di cioccolato fondente dimenticate sul cruscotto della macchina al sole mantenendo fede al proprio nome si sono fuse. Melegnano, uscita casello autostradale, battuto ogni record, 13 ore per percorrere 850 kilometri. Mi consolo, l’importante è arrivare, una pioggia saluta il mio ritorno. Il giorno dopo, lunedì, metropolitana, io in maniche corte, mi guardo attorno e noto tanta gente con foulard, maglioncini, giacche e … e che caspita date tempo al tempo.
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