
La chirurgia attuale si propone non solo di curare, estirpando il male e sanando cruentemente l’organismo laddove la farmacologia non arriva, ma di realizzare tali scopi in maniera il più possibile atraumatica, previo il fatto efficacia e sicurezza rappresentano le priorità assolute.
In questo contesto la tecnica laparoscopica, che consiste nel raggiungere la regione anatomica malata tramite piccoli accessi multipli di 0,5-2 cm, è oramai diventata routinaria, avendo ampiamente dimostrato l’assoluta superiorità in termini di riduzione delle complicanze postoperatorie e più veloce recupero e ritorno al funzionamento quotidiano del paziente.
Nei suddetti pertugi si pone lo strumentario: un trocar, generalmente ombelicale, dove viene inserita la telecamera e vari utensili chirurgici, a seconda dell’operazione necessaria. Ne consegue che pure gli accessi possono variare molto.
La sua storia clinica nasce nel 1910, quando lo svedese Hans Christian Jacobaeus la sperimentò su di un paziente, a seguito di lunghi e dettagliati studi sulle cavie ad opera del medico di Dresda Georg Kelling [1]. Da quel momento, dopo il momento di astioso smarrimento della comunità scientifica che classicamente accade alla presentazione di svolte epocali, dovuto all’amara consapevolezza dei gelosi cattedratici o talvolta da genuina diffidenza nell’inevitabile innovazione, ha conosciuto una diffusione esponenziale. Si usano accessi laparoscopici quel qualsiasi intervento di chirurgia addominale, come esplicitato dall’etimo greco, e si può oramai asserire che il vero limite è la capacità tecnica del chirurgo. Ad esempio esistono chirurghi in grado di svolgere una duodenocefalopancreasectomia, intervento tra i più difficili che viene necessario nel caso di patologie duodeno-cefalopancreatiche appunto, mediante questa tecnica. Pochi. Al giorno d’oggi, cosa che non sempre accade, gli interventi al colon dovrebbero essere solo raramente svolti in chirurgia open, aperta, ma si dovrebbe appunto preferire la laparoscopia. E così via si sono sviluppate tecniche ginecologiche, urologiche, vascolari…
Parimenti la chirurgia toracica sta conoscendo un rapido viraggio verso le metodiche mininvasive: dalla toracoscopia, che consente di resecare un lobo polmonare o semplicemente di prelevarne un campione per le indagini istologiche, alle varie tecniche endovascolari. E’ la chirurgia tradizionalmente aperta destinata a sopperire? La risposta è certamente sì.
Lo stress a cui è sottoposto il paziente aperto è proporzionale all’incisione, e ciò causa una perturbazione immunitaria molto maggiore. Inoltre la magnificazione ottica, l’ingrandimento, consente al chirurgo di essere molto più preciso, riconoscendo le strutture anatomiche lesionabili con facilità.
Una ulteriore evoluzione è rappresentata dalla chirurgia robotica, anch’essa oramai largamente usata. Molto più ergonomica della laparoscopia, trasferisce a mo’ di videogioco i movimenti delle mani del chirurgo, che sta in una postazione lontana 2-3 metri dal paziente, ai millimetrici strumenti che similmente alla laparoscopia richiedono per l’introduzione toracica o addominale piccole incisioni. Addirittura il Professor Marescaux di Strasburgo riuscì a svolgere una colecistectomia, intervento ritenuto basilare, attraverso l’oceano, seduto cioè in una postazione in Francia mentre il paziente si trovava negli Stati Uniti [2]. Vi era al cospetto del paziente un chirurgo pronto a convertire l’intervento in open in caso di complicanze. E’ questa una soluzione quando l’eventuale complicanza non è gestibile, cosa che capita raramente e sempre meno. Il robot, romanticamente chiamato Da Vinci, oltre a schiacciare la curva di apprendimento, altrimenti piuttosto ripida, permette una visione 3D. Ma sinora ha mostrato risultati compatibili con la laparoscopia, che tuttavia costa molto meno, ad eccezione del dominio urologico, dove la fa da padrona indiscussa.
Il dominio della neurochirurgia è invece si avvicina alla fantascienza. Il neuronavigatore consente all’operatore di tracciare i fasci neuronali riducendo il rischio di lesioni gravi ed involontarie.
La mano e la testa del chirurgo sono ancora fondamentali, ma è probabile che i robot saranno un giorno autonomi e perfetti, ovviando a tutte le mancanze che caratterizzano i nostri straordinari ma fragili sensi, nonché la nostra resistenza. Qualcosa di simile accade in oculistica, nella laser chirurgia, ma il chirurgo è sempre indispensabile.
Dobbiamo in ogni caso abituarci a pensare alla chirurgia come ad un fallimento della medicina, che a sua volta è un fallimento della prevenzione. Perciò credo che il futuro regalerà ai nostri discendenti soluzioni più eleganti, modificando dapprima i fattori ambientali nocivi e poi i geni, come è già stato compiuto con ampio successo.
NOTE
[1] Hatzinger M, Kwon ST, Langbein S, Kamp S, Häcker A, Alken P. Hans Christian Jacobaeus: Inventor of human laparoscopy and thoracoscopy. J Endourol. 2006 Nov;20(11):848-50.
[2] Jacques Marescaux, Joel Leroy, Francesco Rubino, Michelle Smith, Michel Vix, Michele Simone, Didier Mutter. Transcontinental Robot-Assisted Remote Telesurgery: Feasibility and Potential Applications. Ann Surg. 2002 Apr; 235(4): 487–492.
Fabio Villa
Nato a Monza nel 1986 e si è laureato in medicina col massimo dei voti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Durante gli studi si dedica ad attività di volontariato in Italia ed all’estero (India, Nepal, Mali, Rwanda, Brasile, Cambogia).
Dopo tre anni di formazione chirurgica nel dominio cardiovascolare, ed un master in economia che l’ha portato in università quali Harvard e Fletcher, si è trasferito a Ginevra, ove si dedica all’esercizio della Psichiatria e Psicoterapia ed in parallelo a svariati progetti.
Vanta prestigiose pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra cui The New England Journal of Medicine.
Si dedica inoltre alla filosofia delle scienze ed alla storia delle religioni. Nell’aprile 2014 pubblica il libro Il Placebo. Viaggio nell’Idea di Dio (Aracne) nella collana Atene e Gerusalemme diretta da Giuseppe Girgenti, professore di Filosofia Antica ed allievo di Giovanni Reale.