Riconoscere un problema è il primo passo per tentare di risolverlo. Riconoscere, e conoscere, significa categorizzare, astrarre e quindi procedere in senso induttivo –> deduttivo per ‘governare’ la realtà. Non possiamo farci un gran che, la semplificazione ‘gruppale’ (in senso lato, non psicologico) e la strutturazione gerarchica delle informazioni, di cui il pragmatismo anglosassone è maestro assoluto, rappresentano la via più efficiente, e l’unica, per raccoglierle, memorizzarle ed associarvi determinati comportamenti. In medicina capita la stessa cosa: abbiamo dei sintomi, un soggiacente meccanismo patogenetico, insomma un problema che chiamiamo malattia. Quale malattia?
Rispondere a questa domanda corrisponde ad avviare un processo riduzionistico che fa rientrare l’esperienza soggettiva della malattia, con le sue caratteristiche oggettive, biologiche, che pure sono uniche ed irripetibili nella persona che le vive, in una categoria nosografica, cioè sotto un nome. Ad esempio tutto ciò che rientra nella definizione di tumore prevede una proliferazione esuberante di cellule, che può essere maligna, od espansiva ed incontrollata, o benigna, autolimitata. Ci sono vari tipi di tumori, accomunati per caratteristiche istologiche, quindi sappiamo che un adenocarcinoma nasce da componenti ghiandolari ed epiteliali di un tessuto, o che un linfoma origina da progenitori linfatici. E così via. Le malattie ematologiche calzano perfettamente, piano piano arrivo al punto. Che senso ha classificare? Quello di risolvere il misfatto, cioè come dicevo prima far corrispondere un’azione produttiva ad un input da noi indipendente, in questo caso un problema. Sappiamo ad esempio che per un tumore maligno bisogna inibire l’attività proliferativa incontrollata delle cellule anarchiche, mentre se somministrassimo un altro farmaco non servirebbe a nulla.
Quando però ragioniamo per categorie e tabelle, cosa indispensabile per avere successo od almeno provarci, dobbiamo considerare che quella determinata condizione con quella determinata patogenesi è diversa da soggetto a soggetto, ed in uno stesso soggetto è diversa da cellula a cellula. Insomma, sempre in riferimento al tumore, si tratta di un insieme estremamente eterogeneo di processi alterati di divisione cellulare, un caos entropizzante che sovverte l’ordine architettonico del tessuto, a danno suo e di tutto l’organismo. Pure l’adesione intercellulare è scarsa, e le cellule aberranti si diffondono nel resto del corpo nel torrente linfatico, ematico o per contiguità, comunicando approssimativamente l’un l’altra in uno schema complesso conosciuto come cross-talk. Si tratta della condizione metastatica.
Siccome ogni malattia è differente è pretenzioso e grossolano voler curare tutti allo stesso modo, ma così si deve fare in attesa di qualcosa di meglio. In realtà sono disponibili molte terapie dall’efficacia validata, anche se sovente non miracolose, per diversi tipi di tumore, ma mi si consenta di calcare un po’ la mano per semplificare la semplificazione.
Dicevo che le malattie ematologiche a proposito sono perfette perchè hanno costituito i primi casi in cui è stato sin da subito evidente che la classificazione basata sulle caratteristiche cellulari morfologiche era inadatta alle predizioni prognostiche ed ai tentativi terapeutici. Insomma l’aspetto delle cellule non permetteva al paziente di sapere esattamente quale fosse l’aggressività della neoplasia, ed al medico di curarlo miratamente. Quindi si è iniziato, grazie all’avanguardia della medicina molecolare e genetica, a fare del profiling, ovvero a determinare le caratteristiche infinitesime di tumori apparentemente – al microscopio – simili. Ed altre classificazioni più accurate sono state redatte e sono in continua revisione. Anche per i tumori solidi sta avvenendo la stessa cosa. Il caso più paradigmatico è forse il tumore del seno, per cui è stata indagata l’espressione dei recettori ormonali, talora coinvolti nella cancerogenesi, sviluppando efficaci terapie, dette biologiche, mirate, e generalmente meglio tollerate delle bombe randomiche antiproliferative che colpiscono tutte le cellule in divisione (comprese quelle sane). Le popolazioni cellulari tumorali sono più colpite perchè si dividono, quindi proliferano, più rapidamente, mentre buona parte del patrimonio tissutale dell’individuo è quiescente. Non tutto ovviamente, ecco il perchè dei pesanti effetti collaterali delle terapie. Tali farmaci sono ancora la base della chemioterapia, ma la tendenza alla comprensione delle caratteristiche soggettive e dunque alla selettività è chiara.
Per altre malattie, vuoi per la difficoltà nella cognizione dei pathways, gli schemi di segnalazione intra ed intercellulare, vuoi per i costi elevati ed un meno brillante impegno nella ricerca, siamo in alto mare. E’ il caso del tumore polmonare, il big killer responsabile del più alto numero di vittime relate al cancro in tutto il mondo, per cui esistono sempre più terapie biologiche utilizzate in stadi avanzati e raramente come prima linea, ma la cui classificazione si basa su caratteristiche macroscopiche che si sono dimostrate essere scarsi predittori dell’andamento di una malattia. Quindi per questo ed altri cancri si designa uno stadio, dal I (precoce) al IV in base al parametro T, ovvero le dimensioni della massa, al parametro N, più preciso, la contaminazione linfonodale dei campioni prelevati durante gli interventi, ed M, cioè la presenza o meno di secondarismi partiti dal primitivo. Se una percentuale variabile tra il 20 ed il 50% delle nuove diagnosi di tumore polmonare non a piccole cellule, cioè escluso il microcitoma che è molto diverso, rivela una malattia già metastatica (stadio IV) esiste un gruppo piuttosto nutrito di casi in cui la malattia è ancora curabile con le tecniche chirurgica e chemioterapica combinate. Si parla di stadio oligometastatico in riferimento ad un numero limitato di metastasi od un unico sito con più metastasi, ad esempio un lobo epatico resecabile, ma anche questa definizione lascia il tempo che trova. Infatti all’interno di questa pseudo-categoria, non a torto non riconosciuta da molti ricercatori, c’è chi ha una prognosi comparabile allo stadio I e può perciò confidare in una guarigione completa, e chi invece ha un andamento simile al IV stadio. Non abbiamo molti altri predittori prognostici per capire chi ha cosa. Ciò nondimeno i nostri metodi diagnostici di rilevamento delle eteroformazioni hanno una sensibilità elevata ma non assoluta, e le frequenti recidive di malattia in siti anche lontani dal primitivo dopo la cura chirurgica ritenuta definitiva fanno pensare a pattern micrometastatici (misconosciuti) alle diagnosi di stadio precoce.
Il progresso della medicina personalizzata ha permesso appunto di colpire nuovi bersagli biologici, recettori implicati nei segnali mitogeni (cioè di divisione cellulare), ma anche di pensare a marcatori più adatti a classificare i vari stadi di malattia. Ad esempio nelle neoplasie polmonari ‘oligometastatiche’ è stato notato che l’espressione di alcuni acidi nucleici è correlata ad un’evoluzione polimetastatica e dunque infausta della malattia, e che ciò pare anticipi di gran lunga la diagnosi della stessa rispetto all’evidenza strumentale (TAC). Questo vorrebbe dire avere elementi per cercare di porre rimedio prima di avere una situazione conclamata1. Ma gli studi sono preliminari e lungi dall’applicazione clinica.
La disciplina della medicina personalizzata è giovane, ma rappresenta il futuro, quanto è vero che in qualche anno sparirà l’approssimativa classificazione TNM a favore del profiling molecolare-proteomico-genetico.
Sinora siamo stati su di un piano puramente biologico, ma la personalizzazione è ancora più importante quando si tratta di malattia mentale. Premesso che la psichiatria non si occupa di normalità, che è un concetto statistico che può riguardare la psicologia e dunque il disagio legato all’autopercezione della propria anormalità, ma di fenomeni psicopatologici, i quali hanno specifici correlati in termini di malfunzionamenti neurotrasmissivi, sarebbe ancora più assurdo parlare di Disturbo Depressivo o di Schizofrenia come entità omogenee. Mi riservo di trattare il tema delle differenze tra psichiatria e psicologia, nonché delle evidenze biologiche della malattia mentale nel prossimo articolo. Ora ci basti pensare all’esperienza personale della depressione che, per quanto accomunata alle depressioni di altre persone da un deficit della produzione di una molecola importante nella neurotrasmissione dell’umore, è unica. Pertanto si deve agire sul meccanismo patogenetico ma lavorare con la psicoterapia sulla soggettività.
Dunque ognuno di noi, con la sua salute e malattia, è unico ed irripetibile, pertanto la medicina personalizzata diversificherà sempre più diagnosi e terapia al fine di trovare rimedi efficaci per ciascuno.