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Il caso del giovane Gabriele Del Grande fermato in Turchia: non parliamo di liberazione.

26 Aprile 2017 by Roberto Bernardini -

In Italia sono ora tutti soddisfatti della “liberazione” avvenuta il 24 aprile di Gabriele Del Grande, un focoso blogger lucchese che agiva per proprio conto ricercando notizie e scoop per le sue attività ed il suo sito, in zone particolari della Turchia ai confini con la Siria. Sembra che fosse alla ricerca di materiale per un libro. Questioni sue quindi, non era inviato di nessuna testata ne operava sotto copertura di qualche network. Assolutamente “freelance” e quindi probabilmente senza autorizzazioni specifiche.
Il sollievo è veramente di tutti ma soprattutto del nostro Governo che onestamente non poteva permettersi di essere coinvolto in un nuovo “caso Regeni”. Il giovane italiano era stato fermato il 10 aprile al confine con la provincia siriana di Idlib mentre intervistava dei profughi e portato poi in un Centro di Identificazione (CIE) dove era stato ristretto per “fini amministrativi”, almeno secondo quanto sostiene la polizia turca. Di fatto è stato considerato alla stregua di un profugo e quindi assoggettato alle regole dei CIE turchi dove si può restare anche per più di sei mesi in attesa di accertamenti, nel caso specifico per le autorità locali nemmeno urgenti. Ordinaria amministrazione quindi per i turchi, non così per il Governo italiano.
Ma non è questo il punto. Quelle in cui si era recato il nostro connazionale erano zone particolari, non certo aperte alle visite di stranieri, ma soggette invece a tutta una serie di controlli e restrizioni da parte del sistema di sicurezza turco. Non dimentichiamo che siamo nell’area di Hatay al confine con la Siria e con quella buffer zone dove sono, loro si, costretti in campi migliaia di profughi siriani. E’ stato arrestato perché sorpreso in zone interdette del territorio nazionale turco. Tutto normale, in qualunque Paese accade la stessa cosa e così dovrebbe essere anche in Italia. Meno normale a nostro avviso è la restrizione che ha seguito il suo fermo nel CIE di Mugla. Ma ogni Paese ha le sue regole e le sue procedure e non si possono sempre fare diretti paragoni con casa nostra. In Turchia la cosiddetta giustizia “si prende il suo tempo”, non ha fretta per cui due settimane di fermo per accertamenti amministrativi ci possono anche stare. La vicenda ci fa però capire quanta attenzione vada posta nel non violare le regole del Paese nel quale si è ospiti e dove si intende svolgere la propria attività. Inutile sfidare gli apparati, far finta di non sapere che non tutti i Paesi del mondo sono aperti, anzi spalancati come il nostro. Andare a mettere il naso in luoghi non consentiti, il Del Grande probabilmente lo sapeva, da quelle parti non significa esercitare un proprio diritto ma piuttosto violare la legge. E questo in un Paese dove la legge ha ancora una sua valenza, nel bene o nel male, non è mai privo di conseguenze. Benissimo ha fatto il nostro Governo ad agire con decisione, era suo dovere. Non dimentichiamo che tra i normali compiti istituzionali della nostra rete diplomatica che fa capo alla Farnesina c’è anche quello della tutela e protezione degli Italiani all’estero, anche di quelli che non sempre seguono comportamenti virtuosi. Non è stato fatto nulla di eccezionale da parte dei nostri bravi funzionari consolari, solo il loro lavoro.
Ma quello che è apparso stonato è stato il clima di esagerata enfasi mediatica e istituzionale che in Italia ha caratterizzato queste due settimane. Di fatto appariva come un caso di ordinaria amministrazione per cui non occorreva che Ministro degli Esteri e Premier si esponessero in prima persona. Solo protagonismo? Spot elettorale? Forse, resta però la perplessità di un apparato politico, quello nostrano, che non riesce a mantenere sobrietà e compostezza quando invece atteggiamenti meno urlanti contribuirebbero a diffondere nei cittadini maggiore fiducia.
Non c’erano reati gravissimi imputati a Del Grande, ne pericolo di pena di morte o di torture, solo un fermo amministrativo come capita anche in Italia nei confronti di tanti cittadini stranieri.
Era stato fermato in un momento in cui la sua curiosità ed il suo desiderio di indagare lo avevano spinto a violare le regole turche nel posto sbagliato. Quando dopo il rilascio è stato intervistato sembra abbia parlato di “violenza istituzionale” da lui subita. Ma, andiamo, il blogger non era certo un obiettivo per la sicurezza turca cui era probabilmente del tutto sconosciuto. Quale motivazione poteva esserci per tale violenza? I fatti verranno accertati, forse, ma probabilmente si lascerà perdere chiudendo una pagina in fin dei conti fortunata.
Le lezioni apprese sono le seguenti. Quando ci si muove in aree difficili, è bene avere tutte le carte in regola e soprattutto occorre limitare le proprie peregrinazioni alle sole aree autorizzate. Il caso Regeni, sul quale sono stati fatti tanti approfondimenti e ricerche, ci ha insegnato qualcosa al riguardo.
Seguire le regole, questo è importante. Andare a cercare qualcosa di più del consentito, forse anche mettendo a repentaglio la propria incolumità, non è un diritto ma un azzardo. Agire per propri fini, e così facendo mettere in difficoltà le autorità del proprio Paese, non è un diritto, costringere il proprio Governo a muoversi con passi forzati e inconsueti è un arbitrio che dimostra solo mancanza di rispetto e scarsa accortezza nella gestione della propria persona e del proprio lavoro.
Poco opportune anche le glorificanti dichiarazioni al buon esito della vicenda da parte degli esponenti di tutte le parti politiche e la corsa ad esserci per gli abbracci e la foto di rito.
Meno enfasi signori! Non è stato salvato nessuno perché nello specifico non c’era nessuno da salvare, non è stato liberato nessuno perché non c’era nessun prigioniero, semplicemente una questione amministrativa che doveva essere trattata in maniera uguale alle tante che i consolati italiani nel mondo, con il lavoro di semplici funzionari, quotidianamente affrontano.
Non è stato così ed allora tutta questa mobilitazione ha fatto sorgere i consueti sospetti. Ma questo libero professionista del quale non si conosce grande produzione documentale e che in questi giorni è stato definito alternativamente regista, giornalista, blogger, scrittore, ecc., gode il sostegno di qualche lobby o organizzazione? La visibilità di cui ha goduto lo farebbe supporre, nessun semplice cittadino italiano incauto turista da quelle parti avrebbe potuto disporre di un simile supporto. Ad altri italiani era già successo e le cose sono state risolte tranquillamente senza clamore per via amministrativa. Anche questo, se mai ci sarà un’inchiesta, si vedrà.
Ora che è tornato a casa dovrebbe essere convocato da chi ha competenze e titolo per farlo, per essere opportunamente indottrinato su quanto inopportuno sia andare a “ravanare” all’estero in territori problematici ed in luoghi interdetti dalla legge locale. Il proprio comodo, ancorché dipinto come diritto all’informazione, cozza spesso con l’interesse della Nazione che non deve essere messa in difficoltà nelle sue relazioni internazionali con un Paese oggi considerato difficile come la Turchia, da un giovanotto in cerca di notorietà. Proprio no!

Foto tratta da Wikipedia.org

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