Siamo al giro di boa del secondo decennio del nuovo secolo. Tra maledizioni e imprecazioni in direzione, alternativamente, del virus e dei politici, e preghiere ed auspici, Giuseppe Selvaggi riflette su ciò che abbiamo vissuto nell’anno passato e su quello che ci aspetta, di cui nessuno sa ancora nulla.
Un altro anno se ne è andato. A volte faccio delle scoperte di cui io stesso mi meraviglio. Vero è che sono stato aiutato dai foglietti a strappo del calendario che sono, visto il tempo realmente vissuto, inspiegabilmente finiti e dai tanti convulsivi messaggi di auguri, auspici e benedizioni che sono iniziati ben prima di Natale e si sono prolungati ben oltre San Silvestro. Fare un bilancio di quest’anno? A che serve? Mi è tornata in mente e a tratti la canticchio la canzone Cosa resterà di questi anni ottanta? credo racchiuda, riascoltata oggi, profeticamente e nella ciclicità del cambiamento ansie, aspirazioni e la canticchio:
“Di questi anni maledetti dentro gli occhi tuoi. Anni bucati e distratti noi vittime di noi.
Ora però ci costa il non amarsi più.
Cosa resterà di questi anni ottanta?
Afferrati e già scivolati via.
Cosa resterà? E la radio canta una verità dentro una bugia.”
A questo giro di boa abbiamo lasciamo alle spalle il secondo decennio del nuovo secolo, è la memoria breve a farla da padrone, perché, come noto a noi tutti nell’ultimo anno si sono incrinate certezze e messe in discussione stili di vita a tratti irriguardosi del futuro di chi prenderà il testimone dalle nostre mani.
Maledizioni e imprecazioni in direzione, alternativamente, del virus e dei politici, preghiere e auspici indirizzati a chi speriamo che esista e alla fine il grande dilemma se vaccinarsi o no quando e se ci sarà modo di farlo. Abbiamo imparato che dal passato non impariamo nulla e che nel presente se non ne siamo toccati personalmente facciamo fatica a
credere che stia avvenendo veramente. Ho sempre auspicato il mantenimento delle distanze soprattutto quando l’ interlocutore ha bisogno di toccarti in continuazione per tenere vigile l’attenzione su cose che non ti interessano. Un po’ meno e decisamente esagerato mi sembra l’atteggiamento di chi oggi incrociandoti per strada ti guarda con sospetto e se non può cambiare marciapiede si appiattisce sul muro riducendo nella sua testa i rischi di un contatto. Ho ascoltato stando in fila al supermercato discorsi di chi “Una idea ben chiara c’è l’ha, ma, sottolinea a voce alta che è meglio stare zitti”. A marzo ho iniziato, una nuova pratica meditativa alternando esercizi da divano terapia a esibizioni canore dal balcone di casa. Ho evitato lo striscione “andrà tutto bene” perché mi è sembrato davvero troppo. E’arrivata l’estate, senza permessi edilizi ho costruito in riva al mare castelli e fortilizi di sabbia che duravano il tempo di una mattinata e dopo, dopo il tutti liberi siamo tornati a mascherarci e a sperare che “tutto andrà bene” questa volta però senza striscioni e festival canori tra condomini. Sono, siamo tornati a “Carcerazioni preventive” alla passeggiata per “L’ora d’aria” a riconoscerci malgrado la mascherina. Mi ronzano ancora in testa alcune smozzicate strofe di quella su citata canzone:
“Anni rampanti dei miti sorridenti da windsurf
Sono già diventati graffiti ed ognuno pensa a sé
Forse domani a quest’ora non sarò esistito mai.”
Credo nelle vie di fuga dal presente senza necessariamente diventare nostalgici del già vissuto, imparare a convivere con il presente cercando di curare il pessimismo e di guardare con distaccato disincanto le certezze che si sono via via polverizzate. Riflettere troppo analizzando i tempi che stiamo vivendo potrebbe a tratti apparire come una operazione per farsi del male, in parte mi sento tradito dal tempo che si dissolve, deluso da chi ha occupato enormi spazi temporali in televisione in dispute che provocano disorientamento, da una religiosità fai da te e a convenienza e in ultimo e non meno importante da una età che avanza e che non lascia presagire ottimistici orizzonti, nel gioco della vita cercherò “Arbitro” permettendo di fruire di qualche recupero nei tempi supplementari. Il mio ultimo libro, finito di scrivere nel 2019 ben prima della pandemia e pubblicato a luglio del 2020 “Abbracci d’Autunno. Cercando nuove primavere” nel titolo un auspicio, attraverso riflessioni in versi e prosa un inno alla vita attraverso la ciclicità delle stagioni lasciando la porta aperta alle speranze di rinascita.
Interpretare i grandi temi del presente è una ardua sfida, sul futuro neanche ci provo e per evitare figure mi accompagno nelle mie lunghe passeggiate a interlocutori di finzione ed è così che converso con un me stesso che a volte è un coetaneo con il quale traccio bilanci provvisori del mio passaggio in questa vita e poi con un altro me stesso che si affaccia per privilegio anagrafico alle sfide della quotidianità a cui suggerisco strade alternative a quelle da me percorse perché non sempre tentare di essere nel giusto è la cosa giusta, con quest’ultimo non posso però fare a meno di consigliare di vincere le aridità del quotidiano attingendo alle energie spirituali che deve coltivare andando oltre il senso dell’immediato.
In fondo l’anno appena trapassato mi fa pena, era nato sotto i migliori auspici e poi ….poi lo sappiamo come è andata, le cattive compagnie, la malattia, la speranza smarrita lo hanno portato alla rovina trascinando nelle sue rovinose cadute tante incolpevoli vittime.
L’anno brutto è finito? Non ho una risposta, solo una speranza.