
E’ da un po’ di tempo che non trovo più per Milano l’ambizione di città europea e nei milanesi (adottivi o nativi) quella capacità di reazione che li ha sempre caratterizzati.
L’ultima manifestazione pro Palestina – che tra scioperi e cortei ha coinvolto tutta l’Italia con il suo messaggio forte di fine dei massacri in atto (oltre i distinguo su colpe, rivendicazioni, terrorismo, nemesi storiche, ecc.) – mi ha suscitato riflessioni più modeste circa i vissuti “a latere” delle grandi manifestazioni e le pecche sempre più evidenti della città che minano il benessere dei cittadini.

Non intendo qui entrare nel merito dei facinorosi che approfittano delle idee e delle nobili cause per sfogare in modo violento istinti bestiali, infierendo con cattiveria su poliziotti, vetrine, esercizi commerciali e infrastrutture, violenze degne di animi malvagi che poi sono gli stessi che si accaniscono su persone, donne, impianti.
Il mio pensiero oggi va ai disagi e alle angherie che i cittadini, come singoli e come comunità, subiscono da queste manifestazioni, con notevoli costi personali e sociali.
La manifestazione, in generale, è sacra come lo è la libertà di pensiero, nella dialettica delle diverse visioni (sì, le visioni possono essere diverse e non c’è il monopolio di qualcuno che – solo perché usa la violenza – debba ritenersi dalla parte della verità o slegato dalle regole del vivere civile).
Ma forse, nel terzo millennio e alla luce delle esigenze e del benessere di tutti, occorre pensare a nuove forme – normativamente previste – per dimostrare solidarietà, evidenziare problemi, tutelare diritti.
Mi spiego meglio. Non è possibile che una città come Milano – che pretende di essere città europea – veda emergere i propri limiti infrastrutturali in occasioni come queste che mortificano e amareggiano i cittadini.
Non è possibile che la metropoli che intende confrontarsi con le maggiori città europee, e magari del mondo, venga paralizzata da una manifestazione. E le manifestazioni in una grande città sono tante a fronte delle tante problematiche presenti: i gay, “non una di meno”, il Leoncavallo, ecc.

Non è possibile che chi va a lavorare non possa raggiungere il posto di lavoro, chi va a laurearsi con familiari al seguito debba saltare la sessione di laurea, che il vecchietto ottuagenario che ha fissato da mesi una visita medica la debba annullare per spostarla non si sa più quando, che un convegno con illustri personalità preparato da un anno venga penalizzato dalla partecipazione o dallo sforamento dei tempi perché la città è impraticabile, non è possibile che alla fatica giornaliera del lavoro debbano aggiungersi chilometri a piedi, col tempo inclemente, per rientrare alle proprie abitazioni.
No, questo ormai non è più possibile. Milano non è più Milano. E’ un dato di fatto che il ceto medio viva male la città, i suoi costi, le sue storture, la delinquenza ma anche la maleducazione di tanti ragazzotti (la deontologia professionale non consente di precisare meglio) che fanno bravate pure in pieno centro come in periferia.
La vita cittadina si fa davvero pesante: diventa insostenibile l’arroganza di chi sfreccia in bici o monopattino a grande velocità sui marciapiedi e di chi lascia tali mezzi di locomozione davanti a portoni e punti di passaggio, l’indifferenza dei proprietari di cani che non puliscono i bisogni, il fatto che non si possa programmare più nulla perché il lunedì o il venerdì uno sciopero è sempre previsto.
La cosa più brutta, però, è la rassegnazione che si legge nello sguardo spento dei cittadini (e paghiamo pure le tasse) che in queste giornate si spostano a piedi come truppe cammellate e non guardano neppure più le bacheche delle pensiline dei tram che non solo non passano (per ritardi, scioperi, incidenti sul percorso, manifestazioni in corso) ma danno pure informazioni false e incomplete.
E nessuno osa ribellarsi, si vive tutto ciò come una calamità inevitabile alla quale non è possibile porre rimedio.
Gli amministratori o coloro che sono preposti alla sicurezza, alla mobilità, al benessere nei cittadini si trincerano dietro banali motivazioni, non considerando che non è possibile che nel terzo millennio non si sia ancora trovata la soluzione a che un acquazzone allaghi mezza città e ne blocchi l’altra metà. Il fatto che poi accada giusto nel giorno dello sciopero magari lo si può attribuire al fatto che il santo patrono Ambrogio non si riconosca o non riconosca più i suoi milanesi.
*Le immagini inserite nell’articolo sono di Antonio Cansino (Licenza Pixabay) – La Foto in evidenza è di Fototommy (Licenza Pixabay)
